Tra arte e pensiero sistemico
Qualche tempo fa, un’amica mi ha fatto scoprire un video documentario su Maria Lai e il suo Legarsi alla Montagna: nastri azzurri rendono visibili i legami e le relazioni tra le persone di Ulassai, in Sardegna, e tra il paese e la montagna che lo sovrasta.
Quando esseri umani, natura, architettura sono fisicamente annodati gli uni agli altri diventa più semplice vedere le relazioni tra i vari elementi: un cambio di prospettiva rispetto al modo più consueto di vedere il mondo.
La lente delle reti
C’è una lente che ci fa vedere la complessità, nel senso etimologico del termine: complesso viene dal latino cum + plectere e significa proprio intrecciato insieme. Indica un insieme di più parti collegate tra loro e dipendenti l’una dall’altra: un sistema, insomma.
Se guardiamo ciò che ci circonda attraverso la lente dei sistemi complessi, vediamo reti che interagiscono con altre reti, influenzandosi a vicenda in modi che solo di rado sono facilmente interpretabili, ma che più spesso non riusciamo a prevedere. Questa lente speciale mette a fuoco non tanto gli oggetti / elementi in quanto tali, ma soprattutto le relazioni tra di essi.
Quando iniziamo a percepire il mondo come una rete di reti, la naturale conseguenza è iniziare a pensare in termini di adattabilità invece che controllo. In un contesto complesso, non lineare, difficilmente un solo attore o elemento potrà controllare l’evoluzione di tutto il sistema: è più efficace procedere per iterazioni successive, ascoltando cosa il sistema ha da dirci e danzando al suo ritmo (come direbbe Donella Meadows).
E nei gruppi o organizzazioni?
Anche un’organizzazione è una rete che interagisce con altre reti.
“L’organigramma reale in qualsiasi azienda è una ragnatela di relazioni informali” (come dice F. Laloux in Reinventare le Organizzazioni), alla quale tendiamo a sovrapporre una struttura rigida che si discosta dalla naturale fluidità di un sistema complesso.
Ma se iniziamo a ragionare in termini di complessità, anche in un’organizzazione tenderemo a mettere in primo piano le relazioni tra elementi più che la loro funzione specifica.
Nella pratica questo si traduce, per esempio, nel garantire il flusso di informazioni in entrambi i sensi, che permette al sistema nel suo complesso di imparare ed evolvere.
Vuol dire anche che il sistema/organizzazione ha una visione (o un obiettivo, o un proposito) chiaro e condiviso, ma la strada per arrivarci è fatta di continui aggiustamenti di traiettoria a seconda delle informazioni e delle risposte che riceve. Un po’ come quando si va in bicicletta: nel complesso andiamo in linea retta, ma in realtà oscilliamo un po’ da una parte e un po’ dall’altra, in un equilibrio dinamico che risponde ai nostri movimenti, alle condizioni della strada e così via.
E infine vuol dire prendere sul serio l’intelligenza collettiva e il suo fondamento, la diversità degli elementi del sistema. In questa prospettiva il conflitto non è qualcosa da silenziare a tutti i costi, ma è il momento in cui un’informazione importante sta cercando di emergere, così che tutto il sistema possa evolvere e imparare.
Nella pratica…
Ogni visione del mondo si manifesta nella pratica nel modo in cui decidiamo di organizzarci a livello collettivo, ad esempio nel prendere decisioni e gestire la vita del gruppo e gli inevitabili conflitti.
Focus sulle relazioni
- Creare un contesto sicuro per poter sperimentare e fare errori (per esempio con accordi di base, cultura di ascolto, cultura del conflitto come momento di evoluzione, facilitazione).
- Cura delle relazioni: le persone sono molto di più del ruolo che ricoprono. Una relazione tra persone e non tra etichette è molto più ricca.
- Se emerge un conflitto, trasformiamoci in esploratori alla ricerca delle reali ragioni e informazioni che il conflitto porta con sé: i fatti (“sei in ritardo”, “non hai fatto quello che ti ho chiesto”) sono una causa scatenante che ha le sue radici altrove.
Da dove iniziare? All’inizio della prossima riunione chiedi a chi è presente di condividere in poche parole qualcosa di entusiasmante che sta accadendo nella propria vita.
Adattabilità e feedback
- Decisioni “abbastanza buone per adesso, abbastanza sicure da essere provate”, con un processo decisionale chiaro e condiviso da tutti i membri del gruppo.
- Momenti a cadenza regolare dedicati al feedback sulla decisione presa e la sua implementazione.
- Condivisione delle informazioni tra tutte le parti del sistema.
Da dove iniziare? Alla fine della prossima riunione chiedi alle persone presenti un feedback sull’incontro: cosa mi è piaciuto? Ancora meglio se…
Ottimo un giro di parola in cui ognun@, a turno, ha la possibilità di parlare e portare informazioni preziose per un incontro ancora più efficace (potete anche passare di mano in mano un oggetto che rappresenta il diritto di parola).
Intelligenza collettiva
- Cercare attivamente e dare spazio alla diversità, prendendosi il tempo di pensare assieme se ci sono voci o opinioni che non hanno spazio all’interno del gruppo.
- Metodo decisionale chiaro e inclusivo (come ad esempio quello per assenso).
Da dove iniziare? Se non si è capito, sono una fan dei giri di parola, perché è un modo davvero semplice per creare spazio per la diversità, dando a tutte le voci la possibilità di esprimersi.
Insomma sì, le reti possono essere sfidanti e incomprensibili, ma anche tremendamente affascinanti (a proposito, hai visto quelle dell’artista Chiharu Shiota?)
Come potrebbe influire la lente delle reti sul tuo modo di stare con le altre persone? E quali cambiamenti potrebbero crearsi per il tuo gruppo?
Sono curiosa di leggere le tue riflessioni nei commenti 🙂
Mi chiamo Martina e sono una facilitatrice: accompagno il tuo gruppo o la tua organizzazione a tirare fuori il meglio di sé e a mettere in pratica nuovi modelli per lavorare insieme.