Qualche tempo fa mi sono imbattuta non so come in un consiglio di Jeff Bezos, fondatore di Amazon: per avere un business di successo, meglio puntare su quello che non cambierà nel futuro invece di azzardare previsioni.

Io e il buon Jeff abbiamo, credo, una visione del mondo molto diversa. In effetti, quello che secondo me non cambierà nel futuro non c’entra niente con consegne sempre più rapide o gadget che costano poco. Lo spunto, comunque, mi è sembrato brillante e ha ispirato un bell’esercizio di immaginazione.

Ci sono molte cose che non cambieranno in futuro: avremo sicuramente bisogno di nutrirci, avere un riparo, curare la nostra salute, cercare un senso alle nostre vite. Saremo ancora dipendenti dalla natura non solo per il cibo, ma per la nostra sopravvivenza in generale. Continueremo anche ad avere bisogni, emozioni e quello spirito sociale che ci spinge a “fare cose” collettivamente.

Proprio per quest’ultimo motivo, secondo me, la facilitazione ci tornerà sicuramente utile, qualunque cosa il futuro abbia in serbo per noi.

 

I tre scenari

 

Bezos sostiene che i clienti vorranno, ovviamente, sempre prezzi bassi, spedizioni veloci e ampia scelta. Ma questo implica dare per scontato che il sistema economico e la cultura resteranno sempre uguali e io non ne sono affatto sicura.

Quindi per esplorare un po’ più a fondo il suo consiglio, un solo scenario per il futuro non mi basta. Mi sono ispirata a tre possibili scenari, che qui descrivo in maniera schematica, ma spero chiara, per immaginare il possibile ruolo della facilitazione.

 

#1 – Business as usual

 

In questo scenario facciamo di tutto per sostenere la crescita dell’economia e il progresso continuo dell’umanità. Ci affidiamo alla tecnologia per cercare soluzioni a tutti i nostri problemi, continuando a inseguire l’obiettivo della conquista dell’universo.

Anche se in questo scenario saremo magari circondati da tecnologie super intelligenti, avremo comunque bisogno di coordinarci e prendere decisioni con altre persone e ci saranno sicuramente questioni politiche e non che richiederanno l’accordo di più parti. Potremmo anche scoprire che, se vogliamo conservare la nostra identità in un contesto dominato dalla tecnologia, ci sarà bisogno di coltivare qualità umane come empatia, creatività e intelligenza collettiva.

 

#2 –  Collasso

 

Gli ecosistemi in crisi, il cambiamento climatico, l’esaurimento delle risorse, portano a un collasso più o meno rapido e improvviso dell’economia, mentre anche le strutture sociali si disintegrano di conseguenza.

Qui la facilitazione diventa davvero indispensabile: non solo per prevenire e mediare conflitti, mantenere il dialogo e le norme di convivenza in situazioni critiche, ma anche come strumento per riorganizzarsi e prendere decisioni collettive flessibili e resilienti.

Quali sono quei valori o quelle norme di comportamento importanti che vorremmo mantenere anche in questo scenario? Io immagino la facilitazione come una dei possibili custodi di questi valori.

 

#3 – La grande svolta

 

Di fronte all’emergenza climatica e ambientale, alle disuguaglianze sociali, decidiamo coraggiosamente di cambiare sistema, sostituendolo con strutture sociali ed economiche che sostengono la vita, umana e non umana.

In questo scenario, una nuova visione della vita, del mondo e delle relazioni è integrata nei processi decisionali a tutti i livelli, nelle strutture organizzative, nelle forme di dialogo e relazione tra persone. Una visione in cui impariamo a pensare come un ecosistema, dove persone, natura, cultura sono collegati e interdipendenti tra loro. La facilitazione, per come la conosciamo oggi e, chissà, con metodi che ancora devono essere inventati, è secondo me un perfetto strumento per appoggiare questa visione ecosistemica.

 

… a cosa serve la facilitazione oggi?

 

Insomma, sembrerebbe proprio una buona idea apprendere e diffondere sempre di più la facilitazione già da oggi.

Ma non si tratta tanto di acquisire le competenze che serviranno ad essere competitivi su un ipotetico mercato del lavoro di domani (mai sentito parlare delle famose soft skills?).

 

Dedicarsi alla facilitazione oggi per me significa innanzitutto sostenere una cultura emergente che sta cambiando la nostra visione del mondo. Perché la domanda più importante non è quale sia lo scenario più probabile, ma: “Qual è lo scenario che vogliamo sostenere?

Di cosa sto parlando nello specifico? Di una trasformazione culturale che potrei schematizzare più o meno così:

 

competizione → collaborazione

separazione → interdipendenza

pensiero lineare → pensiero sistemico

 

Ma non è solo questo il senso della facilitazione oggi. Jonathan Franzen scrive questa cosa che condivido:

“Per sopravvivere alle temperature in aumento [all’emergenza ambientale, alle disuguaglianze sociali e a tutti gli altri fattori che rendono lo scenario attuale così complesso, aggiungo], ogni sistema, del mondo naturale così come di quello umano, avrà bisogno di essere reso il più forte e sano possibile.”

 

Per me la facilitazione, insieme a molti altri approcci, teorie e modelli, serve oggi proprio a questo: a rafforzare le comunità, le relazioni interpersonali, rendere più forti le democrazie, prendere decisioni sagge, tenere aperto il dialogo su temi complessi, attingere all’intelligenza collettiva, interrogarci collettivamente su quale visione del mondo ci guida e quali idee vogliamo tenere come riferimento.

E questo aiuta a rendere i sistemi umani non solo forti e sani, ma anche flessibili, resilienti, creativi, in grado di riflettere su sé stessi e adattarsi a contesti in cambiamento.

 

Sono sicura che i modi di intendere la facilitazione sono tanti quante sono le persone che se ne occupano, e meno male!

Questo è il mio: la facilitazione fa parte della cultura emergente, e ci aiuta a preparare un buon terreno dove coltivare quello che continuerà ad essere importante. E non possiamo farne a meno.

 

 

Fonti e ispirazione

 

Oltre al consiglio di Jeff Bezos, l’ispirazione per questo post arriva da una serie di conversazioni con amici e colleghi sul tema della cultura emergente e se e come la facilitazione ne faccia parte.
Per i tre scenari mi sono basata su quelli descritti in Active Hope di Joanna Macy e Chris Johnstone.
Per la cultura emergente, vedi per esempio La rete della vita di Fritjof Capra, ma anche Active Hope.
La traduzione della citazione di Franzen l’ho fatta io: se trovate errori, fatemi sapere!